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Di Odal (del 29/09/2013 @ 14:01:02, in MASSONERIA, linkato 12067 volte)
di Renato Del Ponte
(estratto da “Scritti sulla Massoneria volgare speculativa” – Ed. Arya)

È esistita una Massoneria tradizionale? La risposta è: certamente sì, è esistita, è quella che si è anche soliti definire operativa.

Eredi di alcuni segreti di sodalizi di costruttori dell'antichità, specialmente del mondo romano (e non dimenticando che Aristotele indica l'architettura come la “prima” delle arti), sono esistite per tutto l'arco del Medioevo diverse sodalitates e ghilde di costruttori, a cui si debbono in particolare i capolavori e le cattedrali dell'arte romanica e gotica.

Postisi sotto la protezione dei Santi Quattro Coronati, la cui straordinaria Basilica troneggia tuttora imponente sul Celio a Roma, essi furono attivi soprattutto in Germania, Francia, Italia (si pensi ai Maestri Commacini), Inghilterra e Scozia. I membri di tali corporazioni muratorie ponevano i segreti del loro lavoro alla base di un travaglio iniziatico interiore: la loro vera operatività concerneva il campo dello spirito, pur avendo come base necessaria (un particolare da non scordarsi) il mestiere. Si trattava, in altri termini, di una via iniziatica riservata a membri della cosiddetta “terza casta”, anche se il terzo ed ultimo dei gradi di realizzazione (dal momento che la Massoneria operativa era costituita solo di tre, qualcuno dice addirittura due, gradi), quello di “maestro”, per il tipo di conoscenze architettoniche che comportava (e quindi di consimili realizzazioni interiori) presupponeva la presenza di eccezionali capacità, sì che non è da escludere che potessero ambirvi anche esponenti delle caste più alte (vedi ad es. il Ms. Regius del XIV secolo, al British Museum), anche se su questo fatto si potrebbero dare interpretazioni diverse e contraddittorie. Ancora nel Rinascimento si potè constatare come l'arte di veri “maestri” architettonici potesse sposarsi con una arcana sapienza iniziatica: lo provano le proporzioni “armoniche” (in chiave pitagorica) di chiese o edifici costruiti da un Leon Battista Alberti (si pensi a Santa Maria Novella di Firenze) o da un Palladio in città del Veneto.

Ma già nel XVI secolo si manifestarono i primi gravi sintomi di disgregazione: in Francia, ad esempio, si verifica addirittura una rivolta all'interno delle corporazioni muratorie; i “compagni” si ribellano ai “maestri” loro patroni accusati di prevaricazione. Ne nascerà il Compagnonaggio. Qui è il caso di aggiungere che anche prima non necessariamente tutte le corporazioni di mestiere coincidevano con i gruppi propriamente iniziatici, dove veniva insegnata l'arte muratoria. Erano i “maestri” che reclutavano, dopo l'“apprendistato”, alcuni “compagni” iniziati. Dopo la rivolta a cui si è accennato, ciò non fu più possibile in Francia. In altri paesi la tradizione si perpetuava ancora: si ha così notizia dell'attività di logge operative dopo il XVI secolo in Germania e soprattutto nei due regni di Scozia e Inghilterra. Ma se l'isolamento può da una parte favorire il perpetuarsi di determinate tradizioni, può dall'altra provocarne il graduale isterilimento. Così anche nelle isole britanniche sempre meno compresi furono i rituali, i simboli e, soprattutto, le “operazioni” iniziatiche che stavano alla base del mestiere. Era anzi il mestiere stesso che si isteriliva, diventando una pura arte manuale. L'ultimo vero Gran Maestro della Massoneria operativa inglese fu l'architetto cattolico Christopher Wren, il costruttore della famosa cattedrale londinese (anglicana) di San Paolo. Dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1723, si può senz'altro affermare che sia cessata l'azione concreta (apparente o conosciuta) della Massoneria tradizionale.

Da allora tutto cominciò a cambiare. Già da tempo, peraltro, a partire dal XVII secolo, in cambio di privilegi e sovvenzioni, erano stati ammessi nelle residue logge operative inglesi elementi aristocratici o ricchi borghesi che erano non solo del tutto ignari del mestiere, ma ben lungi dall'avere un'idea del significato iniziatico del travaglio interiore di cui il mestiere poteva costituire la base. Era così gradatamente nata la Massoneria “speculativa” e pertanto la data del 1717 costituisce solo il punto d'arrivo di una lenta decadenza, in atto da almeno due secoli, ma anche il punto di partenza per un tipo di attività, se non senz'altro controiniziatica, sicuramente antitradizionale.

Dapprima, le prime logge speculative isterilirono la loro attività in lotte di tipo dinastico o confessionale, dividendosi in Inghilterra e sul continente, dove cominciarono a proliferare, in cattoliche o stuardiste e in protestanti o hannoveriane. Ben presto, finite tali beghe ed affermatosi quasi ovunque l'elemento protestante e lo spirito tipicamente borghese e progressista che l'animava, le logge furono o il ricettacolo di idee nuove ed egalitarie, sulla falsariga della moda dei philosophes parigini, o il dorato ed esotico rifugio di nobili in cerca di nuovi altisonanti titoli dal sapore cavalleresco (è allora che nascerà il Rito Scozzese del cavaliere Ramsay, coi 33 gradi che non hanno alcun riscontro nell'autentica tradizione iniziatica), o il luogo privilegiato per truffatori e millantatori che si spacciavano come inviati da potenti e misteriosissimi “Superiori Incogniti”...

Non è esatto dire che la Rivoluzione Francese fu preparata dalla Massoneria, ma è innegabile che questa ne sia stata un veicolo: non bisogna cioè pensare ad un “piano massonico” generalizzato contro il Trono e l'Altare, ma che determinate forze sovversive e rivoluzionarie se ne siano servite per i loro scopi: basti pensare che i ben noti Illuminati di Baviera non furono all'inizio un corpo massonico, ma si infiltrarono nella Massoneria non appena compresero la sua utilità di copertura privilegiata. Già questo esempio può dare l'idea di quello che si è verificato nei due secoli seguenti. Nell'Ottocento la Massoneria inglese (e succede ancora ai giorni nostri) ha potuto essere considerata come 'più tradizionale' (si fa per dire) per il semplice motivo che è rimasta cristallizzata alla situazione del XVIII secolo: ma ciò, come si è visto, non significa certo una patente di ortodossia iniziatica, viste le origini degli Statuti del 1723. Nel continente, e specialmente nei paesi latini, diveniva invece sempre più un ricettacolo di elementi profani, antitradizionali e legati alla classe che stava sempre più emergendo, la borghesia. In Italia, dopo il massimo trionfo dell'istituzione, fra il 1870 e il 1910, il potere stesso manipolato dalla Massoneria tramite il Parlamento ed i gangli dello Stato provocò ad un certo punto lotte intestine (con la nascita, ad esempio, dell'Obbedienza di Piazza del Gesù) su cui non è il caso di soffermarsi in questa sede. Il fascismo fu agevolato ai suoi esordi con denaro sonante del Grande Oriente e di Piazza del Gesù: come finirono poi le cose si vide, con le leggi speciali contro le società segrete del 1925 e la chiusura delle logge, le quali si vendicarono con vari attentati falliti a Mussolini e con l'appoggiarsi alle potenze democratiche ed antifasciste, dove la Massoneria speculativa non ha mai avuto problemi di esistenza, vale a dire l'Inghilterra e soprattutto gli Stati Uniti, che sono divenuti gradualmente la casa madre delle "legittimazioni massoniche" ed i cui presidenti furono e sono nella loro stragrande maggioranza membri di logge massoniche.

Il 25 luglio 1943 fu voluto essenzialmente da elementi massonici dell'esercito o annidati in seno al fascismo: massoni furono Grandi, Bottai, Balbo, Acerbo e persino alcuni tra i "fedelissimi", come Farinacci (ma un "massone pentito", quest'ultimo). Vi furono massoni persino fra membri dei vari governi della R.S.I., fra cui, a dare retta a Giovanni Preziosi, Guido Buffarini-Guidi. In anni a noi non troppo lontani (e per limitarci all'Italia), i casi Calvi, Gelli, Carboni, Pazienza, l'incriminazione per oscuri traffici nei confronti di Gran Maestri come Salvini e Battelli, figure di altri Gran Maestri come Armando Corona, esponente del Partito Repubblicano e di cui (ad essere assai benevoli) il minimo che si può dire è che fu privo di ogni qualificazione spirituale (o finanche culturale: altro che iniziatica!), danno la misura di una certa situazione della Massoneria italiana.

Converrà a questo punto lasciar perdere lo sconcertante squallore dei casi contemporanei e scindere l'aspetto storico o “temporale” da quello propriamente iniziatico. Bisognerà però bene intendersi sui termini e sgombrare un possibile equivoco: la Massoneria di cui parla la storiografia contemporanea ̶ che ha cioè per oggetto di studio la Massoneria quale si è “formata” nei suoi ultimi due secoli e mezzo di vita “profana” ̶ e la Massoneria quale i nostri lettori sono forse abituati a sentir nominare da autori come René Guénon, sono due cose assai differenti. Si ritorna, cioè, alla domanda iniziale. Se, dunque è esistita una Massoneria tradizionale, esiste essa tuttora o potrebbe esistere? Queste domande e le possibili risposte, come è noto, sono state l'oggetto di un fitto scambio di corrispondenza tra Evola e Guénon ed è pure noto, dello stesso Evola, uno scritto concernente i limiti della cosiddetta “regolarità” iniziatica, quale era intesa dal pensatore francese.

Leggendo i documenti a nostra disposizione pare di seguire un dialogo fra sordi. Guénon fa determinate affermazioni, nette, recise, col suo particolare stile allusivo; Evola rimane sulle sue posizioni, rimproverando all'interlocutore un eccessivo formalismo, ma senza pervenire al nocciolo della questione: l'essere cioè per il Francese l'effettiva decadenza delle organizzazioni massoniche, una “pura questione di fatto e non di principio”, il problema essendo “assai più complesso di quanto sembriate credere”.

Proprio per questo, per il lettore che si interessi di tali questioni, vogliamo qui riassumerne i termini con la maggiore chiarezza possibile, per poi giungere ad alcune nostre personali conclusioni, che ovviamente non pretendono di essere esaustive.

Secondo Guénon, nel mondo occidentale, a parte alcuni ristrettissimi e chiusi gruppi di ermetismo cristiano, non esisterebbero che due organizzazioni che, malgrado l'incomprensione della stragrande maggioranza dei loro membri, possano rivendicare una reale trasmissione iniziatica: la Massoneria ed il Compagnonaggio, le quali veramente non furono in origine che due branche di un medesimo organismo. Dunque, la Massoneria potrebbe rivendicare “una origine tradizionale autentica e una trasmissione iniziatica reale”, ma ciò nonostante è una organizzazione estremamente decaduta. Già Joseph de Maistre, che fu massone, aveva espresso tale concetto con le seguenti parole: “Tutto rivela come la Massoneria sia un tronco staccato e probabilmente corrotto di un antico e rispettabile albero”.

Ma a questo proposito lo stesso Guénon usa delle espressioni assai esplicite e che non potrebbero non essere da noi condivise, quali invano cercheremmo nella prosa degli zeloti del ramo italiano della scolastica guénoniana: “Uno dei fenomeni più strani di questo genere, è la penetrazione d'idee democratiche nelle organizzazioni iniziatiche occidentali (e naturalmente pensiamo soprattutto alla Massoneria, o almeno ad alcune delle sue frazioni), senza che i loro membri sembrino avvedersi della contraddizione pura e semplice esistente in tal modo, ed anche sotto un duplice rapporto: infatti, per definizione stessa, ogni organizzazione iniziatica è in opposizione formale con la concezione democratica ed ugualitaria, in primo luogo, in rapporto al mondo profano, nei cui confronti essa costituisce, nell'accezione più esatta della parola, una élite separata e chiusa, e poi in sé stessa per la gerarchia di gradi e funzioni che stabilisce necessariamente fra i suoi membri”. Ed è proprio da questo, che Guénon definisce “strano fenomeno”, che per reazione è nato l'Anti-massonismo. Dal momento che è del cosiddetto piano sociale e morale che si preoccupano i massoni attuali (con quale rispondenza sul piano reale, in effetti, già abbiamo visto), è parimenti “sullo stesso terreno esclusivamente sociale che si pongono quasi tutti coloro che li combattono e ciò prova ancora meglio come le organizzazioni iniziatiche non diano presa agli attacchi esterni che nella misura stessa della loro degenerescenza”. “D'altra parte, l'ammissione di elementi non qualificati, sia per l'ignoranza pura e semplice delle regole che dovrebbero eliminarli, o per l'impossibilità di applicarle sicuramente, è di fatto uno dei fattori che maggiormente contribuiscono ad una tale degenerescenza; e può anche, se si generalizza, condurre infine alla rovina completa di una tale organizzazione”. La ragione più importante della decadenza della Massoneria consiste per Guénon nel passaggio dalla fase operativa alla cosiddetta speculativa. È bene precisare qui che operativo e corporativo non sono propriamente la stessa cosa o, meglio, non si pongono sul medesimo piano, sì che spesso la storiografia massonica, quando parla dell'antica Massoneria operativa, ama contrapporre “le 'speculazioni' del pensiero alle 'occupazioni' del mestiere”. Il riallacciamento ad un mestiere non era tanto legato a preoccupazioni di ordine profano, quanto alla funzione di fornire la base concreta al reale travaglio iniziatico: in altri termini, la vera operatività (e viene qui da pensare alla Grande Opera della trasmutazione alchemica) concerneva il campo dello spirito, pur avendo come base necessaria (s'intende, per chi avesse la vocazione e la qualifica per quella particolare via iniziatica) il mestiere.

Tuttavia, con la decadenza del mestiere si è perso di vista anche il vero lato operativo interiore e con esso ogni conoscenza effettiva, rimanendo solo residui di conoscenza teorica, speculativa. Ciò nonostante, Guénon è convinto che: “la trasmissione iniziatica sussiste sempre, poiché la catena tradizionale non è stata interrotta; ma, invece della possibilità di una iniziazione effettiva, ogni qual volta un difetto individuale non interviene a farvi ostacolo, non si ha più che una iniziazione virtuale, condannata a restare tale per la stessa forza delle cose, poiché la limitazione speculativa significa proprio che questo stadio non può più essere oltrepassato, tutto ciò che va oltre essendo dell'ordine operativo per definizione stessa. Naturalmente, non ne consegue che i riti non abbiano più effetto in un caso simile, poiché sono sempre il veicolo dell'influenza spirituale, anche se coloro che li adempiono non ne hanno più coscienza; ma questo effetto è per così dire differito quanto al suo sviluppo in atto, e non è che come un germe cui manchino le condizioni necessarie al suo sviluppo, queste condizioni risiedendo nel lavoro operativo per cui soltanto l'iniziazione può essere resa effettiva”. Guénon insiste nel dire (ed è questo il principale punto d'attrito con Evola) che, nonostante tutto, “una tale degenerescenza di una organizzazione iniziatica non cambia pertanto nulla alla sua natura essenziale, e che anche la continuità della trasmissione è sufficiente perché, presentandosi circostanze più favorevoli, una restaurazione sia sempre possibile, questa restaurazione dovendo allora necessariamente essere concepita come un ritorno allo stato operativo”. Dunque, considerata la situazione attuale, anche coloro che potrebbero essere qualificati per ricevere l'iniziazione nell'ambito della Massoneria (che Guénon continua a ritenere, nonostante tutto, “filiazione diretta” dell'antica), non possono sperarvi d'ottenere che una “iniziazione virtuale”. Peraltro la costituzione di un'élite cosciente delle proprie possibilità iniziatiche potrebbe permettere la rinascita delle organizzazioni attualmente degenerate. Fin tanto che una trasmissione iniziatica permane (e tale per Guénon sarebbe sempre il caso della Massoneria moderna) ogni speranza è permessa, dal momento che essa poggia sui riti come mezzi d'azione d'una influenza spirituale, il rito avendo efficacia indipendentemente dalla qualificazione dell'individuo che lo compie ed anche senza ch'egli ne abbia persino coscienza.

Sono note le obiezioni di Evola al riguardo, dal momento che egli ha contestato recisamente la possibilità di ottenere reali iniziazioni da parte di organizzazioni degradate, la stessa continuità delle cosiddette influenze spirituali essendo puramente “illusoria quando non esistano piú rappresentanti degni e consapevoli in una data catena e la trasmissione sia quasi divenuta meccanica”. Per Evola vale inoltre il criterio, che non potrebbe non essere condiviso dalle persone di buon senso, secondo cui ogni cosa “si giudica dai frutti”. E sui “frutti” generati dalla Massoneria moderna, lasciamo il parere definitivo ai nostri lettori...

Non possiamo escludere in linea di principio che chi sia “dotato di scienza” possa un giorno padroneggiare l'antica “arte”. Poiché un'antica massima operativa sostiene, per l'appunto: Ars sine scientia nihil. Questa scientia o “sapienza” a quanti framassoni moderni è nota?
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Di rino (del 26/09/2013 @ 18:14:36, in ATTUALITÀ, linkato 960 volte)
di Cristofaro Sola

L’attentato compiuto a Nairobi dal gruppo fondamentalista islamico Al Shabaab, che ne ha rivendicato la responsabilità, sollecita alcune riflessioni. Al Shabaab in italiano vuol dire “ giovani”. In realtà si tratta di un gruppo insurrezionale di matrice somala il quale ha avuto, negli ultimi anni, una sua parte nelle vicende del Paese del Corno d’Africa. Non v’è dubbio che si tratti di una cellula terroristica, visto che Al Qaida l’ha riconosciuta come tale formalmente.

Perché questa banda di terroristi operante a livello locale avrebbe deciso di compiere un’azione criminale di così ampia portata fuori dai confini somali? Potrebbe esser plausibile l’ipotesi per cui l’attentato sarebbe una vendetta scatenata contro i kenyoti, a loro volta artefici, nell’ottobre del 2011, di un’operazione bellica a scopi di antiterrorismo condotta nell’area strategica della Somalia meridionale. L’operazione, denominata in codice “Linda Nchi”, era stata programmata e portata a temine dalle forze di sicurezza del Kenya per fronteggiare una situazione divenuta ormai insostenibile. Da tempo, infatti, le milizie islamiche somale, in concorso con le bande di pirati, agivano oltre confine nella zona costiera kenyota, a forte vocazione turistica, mettendo a segno rapimenti di cittadini stranieri, in particolare europei, a scopo estorsivo. L’area di maggiore impatto dell’attività criminale di queste bande è stata l’isola di Lamu, con la sua incantevole laguna, definita dagli operatori turistici la Venezia swahili dell’Oceano Indiano.

La loro azione prolungata stava mettendo letteralmente in ginocchio il Kenya, il quale punta sul turismo quale fattore propulsivo di rilancio dell’economia nazionale. Per questa ragione, secondo i fautori dell’intervento armato, il fatto che la sua frontiera settentrionale, confinante con la Somalia meridionale, fosse divenuta l’area più instabile dell’intero Corno d’ Africa, ha obbligato il governo di Nairobi a tentare la carta dell’escalation militare, allo scopo di porre argine a una situazione di crisi altrimenti non sostenibile. L’operazione di contrasto armato, però, non ha raccolto unanimità di consensi. Molti osservatori l’hanno giudicata un grave errore politico. L’invasione del territorio somalo infatti, secondo questi ultimi, avrebbe aggravato la crisi tra i due Paesi senza risolvere alla radice i pur gravi problemi posti a sfondo dell’intervento militare.

La questione è indubbiamente complessa, giacché vi sono molteplici argomenti che si prestano a favore dell’una o dell’altra tesi. In realtà, va riconosciuta ai sostenitori dell’inefficacia dell’intervento armato come fondata l’obiezione secondo cui l’azione di forza avrebbe costituito il pretesto per una contromossa ritorsiva, progettata e compiuta in grande stile. E, purtroppo, così è stato. Resta il fatto, però, che fenomeni tanto radicati in contesti sociali ad alto rischio richiedono, per la loro neutralizzazione, interventi di bonifica che annichiliscano i terroristi sia dal punto di vista della reattività bellica, sia dal punto di vista delle interazioni e delle connivenze con il tessuto socio-economico di riferimento.

Dunque, questa abbozzata sarebbe la spiegazione più vicina alla realtà, per quanto avvenuto neli giorni scorsi a Nairobi. Tuttavia, è possibile ipotizzare un’altra cornice nella quale collocare l’azione terroristica al Westgate Shopping Mall. L’Al Shabaab che stiamo imparando dolorosamente a conoscere in queste ore in realtà è cosa molto diversa dall’organizzazione storica che, sotto lo stesso nome identificativo, si è distinta nella guerra civile somala al tempo delle Corti islamiche. Al Shabaab è stata un potente strumento nelle mani di spregiudicati trafficanti provenienti dai ranghi della criminalità comune, che avevano trovato conveniente porre i loro traffici illeciti sotto l’ombrello protettivo della causa islamica. Dopo la cacciata da Mogadiscio, nel 2006, grazie all’intervento militare etiopico, di fatto l’organizzazione, che nel frattempo aveva perso i suoi capi, si era sciolta. Con il sostegno della “longa manus” eritrea, l’organizzazione terroristica si è rapidamente ricostituita, sostituendo ai quadri somali dispersi le nuove leve del fondamentalismo jihadista, provenienti anche dai Paesi dell’Occidente. La lista dei terroristi coinvolti nell’assalto di Nairobi lo conferma. Quindi, mentre la prima Al Shabaab era sostanzialmente una banda di criminali, la seconda organizzazione nata dalle sue ceneri è, a tutti gli effetti, una cellula terroristica di certificata matrice qaedaista.

è, però, accaduto negli ultimi tempi, a cominciare dal 2011, che la diversificazione di linee strategiche, ancora presente all’interno di Al Shabaab, sia andata crescendo fino a provocarne la spaccatura. Le due anime dell’organizzazione si sono divise sulle strategie da adottare dopo la disfatta nella gestione del Paese, intervenuta a seguito della carestia che lo ha colpito nell’estate del 2011. La situazione di crisi aveva condotto i miliziani di Al Shabaab a lasciare Mogadiscio senza opporre alcuna resistenza decretando la vittoria delle forze che si riconoscevano nel Governo Federale di Transizione. La cellula, che si era ricoperta di gloria agli occhi di tutti i fanatici, gli assassini e gli invasati che circolano a piede libero per il pianeta, con l’ assalto, il 23 agosto 2010, a un hotel di Mogadiscio, nel quale erano state trucidate trentatré persone, tra cui quattro parlamentari, aveva mostrato la propria totale incapacità a relazionarsi alle istanze reali della popolazione. Da qui l’abbandono del campo. Intanto, le sconfitte subite, accompagnate dall’eliminazione per mano nemica dei suoi capi più pericolosi, il più importante dei quali Fazul Abdullah Mohammed, responsabile della logistica di Al Shabaab e fedele adepto di Al Qaeda, dovevano spezzare in due tronconi l’organizzazione. L’uno, formato dalle componenti jihadiste più pragmatiche, si è dichiarato disponibile al dialogo con le forze del governo regolare, che nel frattempo riprendeva con successo la “road map” di normalizzazione del Paese, stabilita con gli accordi della Conferenza di Londra del maggio 2012, eleggendo progressivamente, con metodo democratico, l’assemblea Costituente, il Parlamento e, il 10 settembre 2012, un nuovo presidente della Repubblica di Somalia. L’altro troncone, formato dai cosiddetti lealisti di Al Qaeda, ha inteso invece continuare la lotta contro il nuovo assetto istituzionale di Mogadiscio, sostenuto dalla Comunità Internazionale, determinando di fatto un vulnus nell’iter di pacificazione del Paese. Gli integralisti islamici hanno puntato sul fatto che Mogadiscio non è l’intera Somalia. Al contrario, un’ampia area geografica del Paese, collocata nella parte meridionale, proprio al confine con il Kenya, è costituita da una maggioranza di popolazione di fede islamica (quindi, interessata all’applicazione della Shari’a, più che all’esercizio democratico nella gestione della cosa pubblica.

Ora, negli ultimi tempi le componenti moderate di Al Shabaab hanno dialogato con il GTF prima e con il nuovo governo legittimo dopo, per essere integrate nel processo di normalizzazione della Somalia. Le forze di stabilizzazione dell’Unione Africana, presenti in territorio somalo per la missione di pace “Amison”, hanno giudicato negativamente l’avvicinamento della giovane leadership alle frange integraliste provenienti dal gruppo Al Shabaab. In effetti, la Comunità Internazionale non si fida e teme che la sbandierata pacificazione sia un “Cavallo di Troia” per rimettere in gioco i qaedisti di Al Shabaab, questa volta in forma di elemento agente dall’interno del sistema.

Ma se la spaccatura nel cuore di Al Shabaab fosse reale, allora l’attentato di Nairobi potrebbe essere interpretato come un disperato, quanto abietto, tentativo dell’ala oltranzista del movimento di dimostrare “urbi et orbi” la propria esistenza in vita. Per paradosso, la verifica circa la concretezza del percorso terroristico intrapreso dall’ala combattente rispetto all’altra componente, finirebbe per accreditare quest’ultima come forza realmente dialogante per il processo di pace della Somalia. C’è da fidarsi? è presto per dirlo. è necessario che si “posi la polvere” alzata da questa efferata azione criminale, per comprendere come stiano le cose. Soprattutto c’è da capire se e quanto Al Qaeda abbia deciso di puntare sulla vicenda dell’instabilità somala, per rilanciarsi sulla scena internazionale, in modo fragoroso. In questo caso non stupirebbe la scelta di colpire la capitale kenyota come segnale di avvio di un’offensiva su più larga scala contro obiettivi occidentali. è già accaduto. Si ricorderà che, prima del drammatico colpo inferto agli USA l’11 settembre 2001, vi era stata un’ondata di devastanti attentati contro sedi diplomatiche statunitensi, il più grave dei quali fu proprio compiuto proprio a Nairobi, il 7 agosto 1998. L’esplosione fece 212 vittime e oltre 4.000 feriti. Ora, è lecito aggiungere una domanda alle tante possibili ipotesi che sono in questo momento sul tappeto: dobbiamo interpretare anche questo attentato come il segnale anticipatore di un evento di dimensioni apocalittiche? Se così fosse, sarebbe importante conoscere cosa indicano i sensori di rilevamento, sparsi sui territori a rischio dalle “intelligence” di tutto l’Occidente.

Nell’operazione di contrasto le forze militari kenyote sono state affiancate da consiglieri esperti di antiterrorismo dell’IDF, l’Israel Defense Forces, provenienti da Tel Aviv. Israele ha una consolidata tradizione di relazioni amichevoli con il Kenya, risalenti già a prima della leggendaria operazione “fulmine”, il blitz compiuto il 4 luglio 1976 dalle forze di sicurezza israeliane all’aeroporto della città ugandese di Entebbe, dove un gruppo di terroristi tratteneva, a seguito di un dirottamento, i 244 passeggeri, in maggioranza israeliani, e i 12 membri dell’equipaggio di un aereo dell’Air France. Gli advisors ebraici, dunque, hanno tutta l’esperienza necessaria per assicurare che il blitz delle forze di sicurezza consegua l’obiettivo della salvezza di quanti più ostaggi sia possibile. Inoltre, sarebbe auspicabile la cattura ancora in vita di almeno una parte dei terroristi coinvolti. Solo così gli inquirenti kenyoti, insieme agli esperti delle potenze occidentali presenti a Nairobi, potranno tracciare un quadro chiaro degli eventi accaduti e stabilire con certezza il vero movente dell’azione terroristica.

è, dunque, una situazione fluida che non offre certezze se non per una cosa soltanto: questa volta la “primavera araba” con quello che è accaduto non c’entra un bel nulla. Per fortuna.
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