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LA MASSONERIA E LA PREPARAZIONE INTELLETTUALE ALLE RIVOLUZIONI

di JULIUS EVOLA.

Estratto da “Scritti sulla massoneria volgare speculativa”.
Edizioni Arŷa, Genova 2012. 

Per intendere l’opera che la massoneria ha avuto nella Rivoluzione francese, bisogna estendere l’immagine dei “microbi” sociali, nel senso di precisare che, per produrre la disgregazione di un organismo, o per accelerarla, tre fattori sono necessari: occorre una condizione generale favorevole, per così dire una predisposizione in certe parti dell’organismo; occorre poi che le forze, che potrebbero reagire, siano intaccate; infine occorre l’azione attiva del microbo, per dare agli elementi in via di dissolversi la direzione desiderata.
 

Tutte e tre queste condizioni si sono sistematicamente realizzate nella Rivoluzione francese, sotto la direzione generale della massoneria e dei suoi emissari. È ormai tempo di rendersi conto, che la Rivoluzione francese come rivolta di popolo, come una specie di “nobile rivendicazione di umani diritti” malgrado gli “inevitabili eccessi”, e così via, sono fandonie, che si possono solo andare a raccontare a dei giovani senza esperienza e senza sospetti, cosa che purtroppo non di rado ancora accade nelle nostre scuole.
 

Nella Rivoluzione francese, come del resto in quasi tutte le altre rivoluzioni, il “popolo”, la massa, non ha avuto che una parte passiva, i veri agenti sono stati una minoranza servitasi dello strumento intellettuale e ideologico e chi ne ha accolto e diffuso l’azione sovversiva preparatrice, lungi dall’essere il “popolo”, è stato proprio l’opposto, cioè l’aristocrazia, la nobiltà.
 

Fra i vari fattori, quello di “predisposizione” corrisponde alla situazione in cui si è trovata in Francia la nobiltà, per via dell’azione metodicamente antiaristocratica, antifeudale e assolutistica svolta dai sovrani di quella nazione, a partire da Filippo il Bello e fino al cosiddetto Re Sole. La ricerca del Fay conferma quel che in più occasioni in questa stessa sede avemmo a sostenere, vale a dire che proprio il centralismo assolutistico ha preparato virtualmente la Rivoluzione appunto nell’indebolire la nobiltà feudale la quale, in ogni regime normale, costituisce la riserva e l’ossatura, la garanzia per il continuarsi di un ordine gerarchico anche là dove l’estremo apice di esso, costituito dalla regalità, entra in crisi. Per via dell’azione ora indicata, la nobiltà francese non conobbe che disgusti e umiliazioni; privata del suo potere, lasciò le terre avite, si trasformò in nobiltà cortigiana, cercò compensazioni di vanità e surrogati per il prestigio e l’influsso perduti.
 

Essa costituì la cosiddetta “società”, le monde, quasi come una forza a sé in margine alla Corte, con caratteri fra il mondano e l’intellettuale e, già nel Settecento, sempre più internazionali e snobistici. È una casta nuova, interiormente informe, priva però dei caratteri virili e razziali delle antiche caste; essa è in fondo aperta, perché tributa a valori, come la ricchezza e la “brillante” intelligenza, un riconoscimento ignoto all’antica autentica nobiltà, cosa che la rese accessibile ad ogni infiltrazione e promiscuità. Essa è tradizionalista, conservatrice e nazionale solo formalmente e sporadicamente, la sua vera tendenzialità è invece liberalista, per via di reazione, e tale si dimostra sempre di più dopo che, con la morte di Luigi XIV, era scomparso l’ultimo dei padroni che le avevano fatto sentire duramente il loro pugno.
 

Proprio questo ambiente “brillante” e vano di una nobiltà spostata e decaduta fu prescelto per la preparazione della sovversione, molto prima che il “popolo” pensasse a “diritti” e “rivendicazioni umane” di una qualunque specie. È dalla nobiltà opportunamente manovrata dall’elemento massonico, che il popolo doveva ricevere tali fisime con l’incarico di trasformarle da astratte speculazioni di “spiriti illuminati e nobili” in forze propriamente rivoluzionarie. A sua volta, ciò si rese possibile per mezzo di una oculata utilizzazione dei precedenti psicologici e sociali già detti, creati dall’assolutismo.
 

È merito del Fay aver ben messo in rilievo la parte che, nel riguardo, ha avuta l’inglesizzazione del “gran mondo” francese del primo Settecento. La nobiltà inglese, fortemente protestantizzata, si presentava come quella che, invece di essere tenuta in scacco dalla monarchia, aveva tenuto essa la monarchia in scacco, e perciò come un esempio invidiabile e un modello pieno di fascino, ricettacolo di ogni virtù liberale. È il gran mondo inglese che dette il tono a quello francese partendo dal tramonto del Re Sole. Qui, possiamo notare noi, sta la prima deviazione. Invece di trovare la via per riconquistare il suo prestigio col tornare ad essere una vera nobiltà feudale e tradizionale munita di potere, ora che la pressione centralistica era diminuita, la nobiltà francese prende la via della china, assume un modello pervertitore e, in fondo, mitico, perché lo stesso Fay dimostra che lo splendore della aristocrazia inglese era puramente esteriore e che la brillante facciata già a quel tempo nascondeva ogni corruzione.
 

Ma una volta che la nobiltà francese si era così orientata, il terreno era pronto, bastava gettarvi il seme corrispondente al frutto desiderato. E qui interviene l’azione precisa dei microbi, cioè della massoneria. Le considerazioni del Fay ci permettono di distinguere varie fasi. Vi è anzitutto la preparazione del fermento o virus, fase, questa, più oscura fra tutte, perché è quella stessa delle origini della massoneria come setta potenzialmente rivoluzionaria. In secondo luogo vi è la “rivoluzione intellettuale”, la diffusione del fermento nel “modello” che affascinava l’aristocrazia europea, fase equivalente alla scalata della nobiltà inglese da parte della massoneria e alla massonizzazione di essa. In terzo luogo vi è lo sviluppo del contagio fino alla crisi, cioè la fase della diffusione delle idee massoniche partendo dall’Inghilterra, con particolare concentrazione sulla Francia, dove si forma, per così dire, il “precipitato” e la rivoluzione intellettuale sbocca in quella sociale.
 

Rileviamo però che una specie di prima prova, felicemente superata, di tutta l’operazione, destinata a facilitare quella successiva, si ebbe già con la rivoluzione americana. Anche su di ciò, la storia comunemente insegnata non dà il minimo ragguaglio.
 

Di particolare interesse nel libro del Fay è la precisa documentazione del fatto, che anche la rivoluzione americana è stata esattamente preparata e poi — perfino attraverso un episodio preciso, che condusse al  casus belli — provocata direttamente dalla massoneria; che massoni sono stati tutti i massimi artefici di essa, a partire da Franklin e da Washington; che in convegni massonici furono esattamente formulate le idee che fecero da base ai vari atti del moto rivoluzionario americano, compresa la famosa Dichiarazione d’Indipendenza, allo stesso modo che un congresso massonico internazionale tenutosi a Parigi nel 1917 doveva formulare tutte le idee e i principi cui poi si inspirò la Società delle Nazioni. Come riferisce il Fay, nella grande sfilata dopo il trionfo della rivoluzione, Washington, invece che con la spada al fianco, apparve col grembiule sul ventre e la sciarpa massonica a tracolla, ornato di tutti i monili e le insegne della setta, alla testa di un gruppo di altri massoni eminenti: “fu la più grande parata massonica che mai si fosse vista”. E già da questo momento il massone Franklin, nuovo Prometeo, secondo la sua divisa, in atto di domare la folgore e i tiranni, seppe sedurre la nobiltà francese fino a provocare l’intervento militare della Francia a favore dell’America ribelle. La quale doveva ricompensarla con l’importazione di una nuova dose di idee rivoluzionarie e “nobilmente” liberali, in parte per mezzo dello stesso Franklin.

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