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L’ASPETTO ESOTERICO-INIZIATICO DEL CALENDARIO RIVOLUZIONARIO

di ROSANNA PERUZZO DEL PONTE.

Estratto da “Arthos”.
N° 22 del 2013.
Edizioni Arŷa, Genova. 

Una concezione astrale antichissima attribuisce alle costellazioni influssi sulla vita umana, influssi che divengono più forti, dopo lo scorrere in cielo di tre di esse. Si determina allora l’apertura di un portale.
 

Essi sono quattro, nel corso dell’anno segnano i momenti cruciali del transito del sole: due solstiziali e due equinoziali.
 

Come si può notare, non si conoscono inizi calendariali all’apertura della porta solstiziale estiva. Secondo G. Feo è porta degli uomini (vita che torna a procrearsi) ma anche Ianua Inferi, aperta ad influssi tellurici ed inferi del ciclo umano di nascita e morte.
 

La più conosciuta e tradizionale è la porta del solstizio invernale; da qui il sole riacquista, in crescendo, la sua durata sull’orizzonte. L’anno inizia dopo grandi festività legate alla luce (Saturnali, nascita di Gesù — luce di cristianità). A guardia è posto e rimane nella scansione del calendario cristiano (gennaio) il Giano bifronte, ianua che si chiude sul passato ed apre il futuro. Il Dio sussiste in se stesso; come il Fanete delle origini, è maschio e femmina, giovane e vecchio; si rigenera senza l’apporto di una ierogamia che lo rafforzi all’atto di aprire il portale. Altro inizio d’anno fu dato dall’equinozio primaverile: festa di Core, che ritorna sulla terra dopo il rapimento e i mesi invernali passati all’Ade. Da qui parte il calendario romano antico. Il 15 marzo è la festa di Anna Perenna. Dea arcaica, anche nel nome (per annum  perennis) perennemente si rinnova; vi si celebra la sua ierogamia, davvero molto particolare. Anna si unisce al bellicoso Marte (= anno nuovo), che riaccende le guerre sopite nell’inverno, dopo aver cacciato il vecchio Marte, cioè l’anno trascorso, personificato nel fabbro Mamurio Veturio (vetus vecchio), in fondo alter ego di Marte stesso.
 

Sulla base dello scudo fatto cadere dal cielo da Marte, Mamurio ha il compito di forgiare gli altri undici per giungere al compimento di un nuovo ciclo annuale (1+11=12); dell’anno ne è simbolicamente il fabbro costruttore, sui mesi — scudo egli si invecchia sino ad essere, ciclicamente, cacciato. Anna si rinnova, attraverso la congiunzione con il vigore di Marte, in ciò rimasta come le antiche dee (vedi Diana con Virbio, sempre giovane perché ucciso e sostituito nel bosco di Ariccia). Anna Perenna ha tuttavia perso l’aspetto di giovane vergine, che le antiche dee mantenevano insieme con quello di Grande Vecchia. Si serve dell’inganno per avere Marte: fa credere di essere Minerva, la parte che le è stata rimossa nella classicità; Minerva, che la completa e nella tradizione etrusca di Minerva vecchia (nera) con lei sostanzialmente s’identifica, a Roma è solo giovane vergine, mai piegata. Attira velleità di conquista del dio. Situazione assai ingarbugliata da cui il dio focoso ne esce oggetto di lazzi da parte del popolo romano in festa, come certi personaggi plautini. C’è tuttavia, nella complessità di questa ierogamia, un aspetto fortemente esoterico. Accade per Roma quello che accadeva per la Polis greca di Atene. Minerva è il simbolo dell’imprendibilità da parte dei nemici della città stessa e con la sua verginità ne garantisce l’inespugnabilità. Mai la Dea si piegò a nozze. Ma la città di Roma deve pur garantire la sua eternità, in un rito che ne consenta magicamente il suo continuo rivitalizzarsi e alle nozze accede Anna, della luna la parte oscura, la luna nera o appunto nuova. Anna Perenna è, in fondo, parte di Atena stessa, alter ego, come risultano essere le figure femminili paredre di Marte (v. Neiro o Neriene) o di Apollo (Coronide), che presiedono, secondo le leggende gentilizie, ad antichissimi culti delle gentes dei Claudii e dei Valerii (nel secondo caso). L’equinozio d’autunno segnava l’inizio dell’anno nei tempi più antichi. Questo risulta succedesse a Creta. R. Graves ricorda che l’isola conobbe antichi Misteri, svolgentisi nel mese di Boedromione (“che corre in aiuto”), primo mese dell’anno, corrispondente più o meno a settembre. Vi venivano celebrati i Misteri di Dioniso, a cui era sacro il pioppo bianco, simbolo di rinascenza; nell’antichissimo calendario arboreo (ogni albero indicava un tempo dell’anno) la pianta era legata — appunto — all’equinozio autunnale.
 

Tali misteri aprivano iniziaticamente il portale equinoziale; nei tempi più remoti s’immaginava Dioniso immergersi nella palude senza fondo di Lerna, per trarvi la madre Semele e farla ascendere all’Olimpo.
 

Anche gli Etruschi per l’inizio d’anno si rifacevano all’equinozio autunnale, tempo a cui presiedeva Minerva anziana o Minerva nera (corrispondente alla fase della luna nera). La Dea dal nero corvo deteneva le chiavi della Sapienza e dell’iniziazione ed “era vissuta come Grande Dea, associata all’Occidente”. G. Feo vede una stretta relazione tra questa Minerva e Atherpa (Athropos, la Moira anziana), nonché con Northia.
 

E proprio nel tempio della Dea Northia — Urcla, che presiede alla fortuna e al fato, legata alle acque (Urcla ur= acqua), dagli aspetti anche inferi (Urcla fa presupporre in latino un passaggio a Orca), avveniva, attraverso l’infissione di un chiodo “fatale”, la cerimonia d’apertura del nuovo anno. Ogni chiodo contribuiva al computo degli anni trascorsi nella scansione dei saecula etruschi. Ogni ciclo, detto “della Fenice” (540 anni), era vissuto come un inevitabile avvicinarsi ad una fine segnata dalla stessa divinità Northia o Atherpa (quella che recide il filo). Fine del resto pronosticata anche dai sacerdoti, esperti conoscitori delle leggi cicliche del tempo.
 

In Roma, pur non avvenendo l’inizio d’anno attraverso l’equinozio autunnale, si ritrova un’eco di tale rito, anche se il suo riferimento antico pare del tutto perso nella memoria comune. Non solo: la cupa fatalità etrusca risulta del tutto assente. Roma infatti è lontana dalla concezione matriarcale di Fortuna e Destino ineluttabile. Attraverso l’azione e la pax deorum, il futuro resta aperto ad ogni soluzione o correzione, da ottenersi, in quest’ultimo caso, con il rito propiziatorio.
 

Il 13 settembre (Idi), sul lato destro del tempio di Giove Ottimo Massimo, nella parete della cappella di Minerva (la Dea che sostituì il culto di Urcla — Northia) veniva infitto un chiodo. L’usanza risale alla dedicatio del sacro edificio, avvenuta dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo ed il costituirsi della repubblica.
 

L’apertura della porta equinoziale, tuttavia, conserva anche a Roma una certa apprensione; è un momento particolarmente delicato, tant’è vero che in gravi casi si ricorre all’istituzione di un dictator clavi figendi che, con tale gesto, deve ridare stabilità agli eventi, ripetendo il rito del Campidoglio.
 

I rivoluzionari francesi riportarono l’inizio d’anno a questo portale. Il 20 settembre 1792 era avvenuta la prima vittoria contro il nemico esterno, a Valmy. Con la proclamazione della repubblica, parte il nuovo calendario (22 settembre). L’equinozio, con le sue 12 ore di luce e 12 di oscurità, piacque come inizio di una nuova epoca: suggeriva reminiscenze della mitica Età dell’Oro. Ma queste furono spiegazioni essoteriche. Certo è che non sfuggiva alla componente esoterica dei rivoluzionari l’aspetto del tutto particolare di questo momento dell’anno.
 

L’equinozio d’autunno era stato nell’antichità il più propizio a riti di iniziazione, celebrato con feste per la vendemmia (Dioniso) e i raccolti (Pomona, anticamente Mariena — Marianna, la dea dai molti frutti), portava un afflusso di nuova vitalità in attesa del ritorno invernale, vivificatore del nuovo ciclo solare. Rappresentava la discesa iniziatica di Core all’Ade. Analogamente il mystes(“ad occhi chiusi”) penetrava entro le viscere di Madre Terra, attraverso labirinti e grotte; compiva il suo percorso iniziatico, guidato dalla luce della corona di Arianna, signora del Labirinto o dal suo filo delle Dee tessitrici del destino. Dopo morte simbolica, emergeva a nuova vita.
 

Dedalo stesso è stato visto come un vero e proprio “Maestro delle iniziazioni”, simile a tutti quegli archegeti che guidavano le corporazioni antiche dei fabbri e degli artigiani (ad esse si rifacevano i sanculotti).

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