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IL BIG BANG, LE ORIGINI E LO SMEMBRAMENTO COSMICO

di EMANUELA CHIAVARELLI.

Estratto da “Arthos”.

N° 26 del 2018.

Edizioni Arŷa, Genova.

Le singolari, impensabili affinità tra scienza, religione e mitologia non possono che sorprenderci. L’Universo sarebbe sorto dal grido estatico di un luminoso Essere primevo – Il Purusha indù, l’Ymir germanico, il P’anku cinese, il Gayōmard iranico, l’Adam Qadmon semita, il piccolo minotauro tracio-greco Dioniso-Zagreo, ma anche l’Anima Mundi degli Alchimisti – che, emergendo dal Non Essere tramite il proprio smembramento, avrebbe attivato il divenire dando vita alle variegate forme della realtà. Questa dolorosa ebbrezza sacrificale parrebbe confermare la teoria del Big Bang, secondo cui l’universo si sarebbe espanso da un punto a temperatura e densità infinite, avviando, con lo spazio-tempo,(1) un processo creativo tuttora in atto.

Di tale sorta di “danza” dovuta alle onde acustiche vibranti – vera e propria “musica del Big Bang” – ‚(2) unica vera protagonista fu la luce: «forma di radiazione elettromagnetica» di natura ondulatoria (effetto Doppler), capace di trasportare energia da un punto all’altro dello spazio.(3)

L’universo sarebbe emerso, quindi – come nei miti della Parola di luce –(4) dalla propagazione di onde acustiche(5) attivate dalla vibrazione di campi elettrici e magnetici componenti la luce stessa.(6)

I miti dello smembramento dell’Uomo Cosmico sottolineano una sorta di nascita dalla morte, anzi di rinascita. Il mondo non sarebbe che la riattualizzazione del ricordo di un’epoca perduta, come parrebbe esprimersi dietro i simboli della Trimurti indù, emblema di un sole morto che si auto-rigenera periodicamente,(7) o del Teschio-Nodo maya, Antenato dal cui “canto silente” (ik = “vita”) scaturisce, ri-membrato, un nuovo processo creativo. L’evento – che pare rinviare per affinità, anche alla melodia sgorgata dal capo mozzato di Orfeo – suggerisce una sorta di sortilegio: un incantesimo che, invertendo le polarità radicali, trasmuta la morte nel suo opposto.(8)

Un suono luminoso ne rappresenta la chiave. Se, quindi, Ptah, dio egizio di Memphis, genera il mondo mediante la magica trasformazione del pensiero-ricordo in Parola, nel Sāmaveda indiano l’Anima universale si autocrea riaffermandosi con la pronuncia del proprio nome. Parrebbero confermarsi le ipotesi scientifiche relative ad un universo «fatto e finito con una memoria incorporata» risalente a circa 6000 anni fa malgrado la terra, molto più antica,(9) permetta di ipotizzare la verosimile possibilità di precedenti esistenze.

Che la concezione induista dei cicli cosmici – creazione, mantenimento, dissoluzione – sia realistica? Che alla fine di ogni kalpa tutto si dissolva veramente nell’abisso primordiale da cui, originariamente, è sorta la Vita per riemergerne nuovamente?(10)

 


NOTE

1) F. CLOSE, Nulla, Torino, Codice, 2011, p. 123.

2) BALBI, cit., p. 5.

3) Ivi, p. 41.

4) In sanscrito, svara (= “suono”) e svar (= “luce”) si rapportano anche foneticamente.

5) BALBI, cit., p. 117.

6) Ivi, p. 124. L’universo nascerebbe nel vuoto come una “fluttuazione quantistica” espandendosi rapidamente. Si sarebbero prodotte simmetriche quantità di materia e antimateria (le fluttuazioni di energia nel vuoto si trasformerebbero in elettroni e nei loro “gemelli” di antimateria, i positroni, di carica elettrica opposta), teoria che parrebbe confermare, fra l’altro, miti come quello dello smembramento “allo specchio”di Zagreo.

7) Il teschio sugli altari indù, di 360 mattoni, allude al sacrificio del sole-Anno che disperde il proprio dinamismo nel ciclo annuale dando vita morendo. Per questo, sulle are, splende sempre il fuoco – sole in basso – per alimentare, con la luce e il calore, la dispersione energetica dell’astro.

8) I morti sono “esseri pietrificati e cantanti. La lingua spagnola sottolinea la connessione tra encantar e pietrificare. «Desencantar vuol dire richiamare in vita mediante l’offerta di un canto dalla caverna» (Shneider, cit., p. 27), cavità che parrebbe suggerire, oltre ai riti sciamnici delle grotte sacre, l’affinità simbolica con i “teschi cantanti” di Orfeo, Teschio-Nodo, ecc.

9) CLOSE, cit., pp. 37–8.

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