GIANO O L’ARCHETIPO DIVINO
di RENATO DEL PONTE.
Estratto da “Dèi e miti italici”.
Edizioni Arŷa, Genova 2020.
“Matutine pater, seu Jane libentius audis, unde homines operum primos vitaeque labores instituunt, sic diis placitum, tu carminis esto principium”
(HORAT., Sat., II, 60,20–23)
CHI È GIANO
Il nostro itinerario fra gli dèi italici delle origini non può naturalmente non iniziare da Giano, cui est potestas omnium initiorum. Compito non facile né agevole, come dimostrato dalla grande mole di studi che sulla figura del dio esiste e continua a prodursi: figura complessa, nonostante l’opposto parere del Dumézil, e tra le “centrali di tutto il sistema politeistico romano”.
Per cercare allora di evitare di ripetere luoghi comuni, ci pare che un’indagine corretta dovrebbe innanzitutto partire dai monumenti più arcaici giuntici attraverso la tradizione letteraria; successivamente ci potrà essere di grande aiuto — oltre all’analisi linguistica — l’analisi rituale che, come ormai è stato sottolineato a sufficienza, per il mondo romano-italico e la mentalità “attiva” che lo impronta, può avere importanza decisiva per illuminare i dati puramente ideologici o teologi, qualora esistano. Il documento cronologicamente più antico sul dio è rappresentato dai versi Ianuli del Carmen Saliare, quali nella loro forma arcaica ci ha trasmesso Varrone: “Cozeviod orieso. Omnia vero adpatula — cosmis iam cousiad nos — duonus Cerus es, promelios eum recum (…) divom eum pa cante, divom deo supplicate”.
Cioè: “Rivolgete preghiere a Consivio. Spalanca tutte le porte — ormai egli ci ascolti benevolo — tu sei il buon Creatore, di gran lunga il migliore degli altri re divini (…) cantate in onore di lui, del padre degli dèi, supplicate il dio degli dèi”.
Esaminiamo attentamente queste definizioni: Giano viene chiamato “Consivio”, cioè, secondo la spiegazione di Macrobio, “propagatore del genere umano, che viene ‘seminato’ per opera di Giano” (da conserere = “seminare”): ciò lo avvicinerebbe (sia pure solo su un piano semantico) al dio agricolo Conso e ad Ops Consiva, dea dell’abbondanza agricola.
Il dio è dunque alla scaturigine della stessa vita degli uomini della comunità che lo invoca per mezzo dei Salii — sacerdozio guerriero di patrizi consacrato a Marte Gradivo, che si incontra anche in altre città latine e italiche, presente a Roma dall’epoca di Numa Pompilio, che ne prescrisse gli stessi carmi. Se consideriamo inoltre che fu lo stesso Numa ad istituire il mese di gennaio, “primo mese dell’anno, in quanto dedicato al dio bifronte”, e ad erigere la prima “statua” al dio, il cosiddetto e discusso Ianus Geminus dell’Argileto (o del Viminale), ne risulta un rapporto speciale fra il dio delle origini ed il re riformatore che, per così dire, “crea” le istituzioni religiose dello Stato romano arcaico e pertanto “attualizza” la presenza di determinati dèi sul suolo romano. Quel sovrano che conclude l’età mitico-primordiale d’Italia ed apre l’età arcaica di Roma non poteva non attualizzarne nel tempo sacro il dio dei primordi, che, stando ai dati annalistici, proprio a partire da Numa entra a far parte del complesso rituale dello Stato: complesso rituale che — è bene sottolinearlo sin d’ora — è strettamente legato alla funzione regia.
Ma Giano è anche cantato dai Salii come duonus Cerus (variante più arcaica: Cerus manus) e divom pa, divom deus, “il buon Creatore”, “padre degli dèi”, “dio degli dèi”, di cui pertanto egli è “di gran lunga il migliore” (promelios eum recum).
Circa Cerus (cfr. lat. creo), la radice indoeur,*Ker, quale si riscontra anche nella dea Ceres — colei che ha in sé il principio della crescita (cfr. osco Kerri della Tavola di Agnone) — rende dunque Giano come il “creatore per eccellenza”, in quanto “iniziatore del mondo” e quindi “scaturigine sovrana degli stessi dèi”. Sotto questo aspetto, importante è la definizione datane dal console ed augure Marco Valerio Messalla Rufo (I sec. a.C.) nel suo De auspiciis: “Colui che plasma e governa ogni cosa unì circondandole con il cielo 1’essenza dell’acqua e della terra, pesante e tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell’aria, leggera e tendente a sfuggire verso l’alto: l’immane forza del cielo tenne legate le due forze contrastanti”.
Certamente in Messalla sono presenti temi e motivi cosmogonici estranei al nucleo arcaico e di ben precisata provenienza ellenica, così come non sarebbero da prendersi in seria considerazione — come suggerisce lo stesso Dumézil — le affermazioni dei tardi Settimio Sereno (che definisce Giano “cate rerum sator” e “principium deorum”) o Erodiano o Procopio, se, ripetiamo, non ci autorizzasse a ritenere come esistente ab antiquo questo concetto primaziale di Giano proprio l’arcaicità del Carmen Saliare e di altri testi che riporteremo.
È del resto possibile — e lo nota acutamente il Dumézil — che la funzione divina “primordiale”, che pone una determinata figura emblematica alle origini della realtà prima della sua differenziazione, fosse presente sotto diversi aspetti — anche “maschili” e “femminili” — nelle città del Lazio primitivo, e che pertanto Giano simboleggiasse la stessa realtà divina della Fortuna Primigenia (= “primordiale”) di Preneste, che si prende cura dello stesso Juppiter, sia pure visto come puer.
Ma se Fortuna Primigenia rimanda in ogni caso al mondo indifferenziato dell’”utero primordiale” assai diffuso nell’area mediterranea, Giano è qualche cosa di più e di diverso.
Se Giano è infatti all’origine degli uomini e degli dèi (ma, non sarà male sottolinearlo, degli uomini e degli dèi di un’area italica determinata, che si volle poi circoscrivere al Latium vetus), non è per ciò un antico dio decaduto: quello che alcuni studiosi hanno considerato come il più antico e il principale di una arcaica religione, poi “riformata” a vantaggio del dinamico Giove Ottimo Massimo. L’errore sta nel punto di prospettiva: se è vero che il culto di Giove assume determinante importanza a Roma solo al termine della monarchia e in un rapporto antagonistico, se mai, col vecchio Saturno, Giano non è mai stato spodestato, dal momento che è sempre rimasto alla base dell’ideale religioso della Città.
Non è il deus otiosus caro alle categorie stereotipate di certi storici delle religioni — su cui insiste, ad es., il Pettazzoni — non è certo il creatore che si è ritirato dalla Terra dopo l’ordine da lui costituito.
Anche il cananeo El è definito “Signore della Terra e degli dèi” e il suo nome compare all’inizio delle invocazioni sacrificali: ma El appare nel culto come una figura debole, decisamente senile, rassegnata al fatale disprezzo degli altri dèi, come per altri versi potè accadere in Grecia per Poseidone, il grande dio decaduto di un passato in cui Zeus non era ancora l’arbitro del potere degli dèi.
L’italico Giano non ha naturalmente le forme rilevate di un dio semitico o mediterraneo, ma non possiede né l’aspetto né la funzione di un vecchio decaduto: anzi è, nella sua tradizionale iconografia, un vecchio che diventa giovane, vale a dire che rappresenta il tempo delle origini, ormai trascorso (il vecchio), che viene però continuamente rivitalizzato (il giovane) attraverso il rito e la presenza attiva nella vita e nelle cerimonie religiose della Città.
Ciò ancora significa che il dio degli inizi, per mezzo del rito, reca nella realtà storica, concreta, di Roma il tempo delle origini, tempo che è stato “operante”, sia pure invisibilmente, sino alla riforma di Numa, il quale, come si è visto, ha introdotto Giano nel tempo sacro romano (attraverso il calendario) e nello spazio sacro della Città (attraverso la costruzione dello Ianus Geminus dell’Argileto).
Questa “operatività” e “primazialità” di Giano è ancora una volta testimoniata dai documenti rituali più arcaici rimastici. A lui si rivolge innanzitutto l’agricoltore italico prima di tagliare le messi, offrendogli focaccia e vino: “Iane pate, te hac strue ommovenda bonas preces precor, uti sies volens propitius mihi liberisque meis domo familiaeque meae (…). Iane pater, uti te strue commovenda bonas preces bene precatus sum, eiusdem rei ergo macte vino inferiori est”.
Ancora a lui (e poi a Giove) ci si rivolge offrendo vino nei preliminari della lustrazione dei campi, propriamente dedicata a Marte. Ancora Giano è il primo della serie delle divinità invocate nella formula della devotio, seguito da Giove, Marte, Quirino ecc. Negli Atti dei Fratelli Arvali, quando fra i sacrifici piaculari figura quello a Giano, esso precede i sacrifici a Giove ed agli altri dèi — invece prima a Giove e poi ad un Giano Quirino che ha fatto molto discutere, si rivolgono per primi i Feziali (collegio istituito da Numa) nei preliminari della dichiarazione di guerra. Del resto, tutto ciò è solo la testimonianza più arcaica della realtà rituale che Giano venisse invocato in tutti i sacrifici e per il primo.