IL FILOSOFO MASCHERATO
di JULIUS EVOLA.
Estratto da “Scritti sulla massoneria volgare speculativa”.
Edizioni Arŷa, Genova 2012.
Sono più o meno note a tutti le principali tappe storiche dello sviluppo ideologico, che ha condotto fino alle forme più recenti e più visibili della sovversione occidentale. Se i punti di riferimento più prossimi sono costituiti dal giudaismo e dalla massoneria, come tappa antecedente si deve considerare l’illuminismo, il razionalismo cartesiano e l’enciclopedismo, fenomeni che hanno costituito la preparazione intellettuale della Rivoluzione Francese e perciò — indirettamente — anche delle altre forme di sovversione sviluppatesi da questa negli altri paesi europei. Retrocedendo ancora nei tempi, incontreremmo l’Umanesimo nella Rinascenza e la stessa Riforma, almeno secondo quei loro aspetti, che determinarono la crisi definitiva della precedente civiltà gerarchica e imperiale del Medioevo romano-germanico. È così che la stessa massoneria ha esortato a “risalire incessantemente alla doppia sorgente costituita dalla Rinascenza e dalla Rivoluzione” e ha parlato con orgoglio della “rivolta, di cui l’umanesimo della Rinascenza e la filosofia della grande Rivoluzione sono le fasi più salienti, più note e più prossime, l’anima delle quali è espressa dallo stesso spirito massonico”.
Ora, fino a che si tratti di giudaismo e di massoneria, ognuno ha l’immagine netta di un’azione storica concertata e consapevolmente voluta da gruppi ben determinati. Nei riguardi degli antecedenti meno prossimi, i più considerano invece le cose da un punto di vista diverso. Si concepisce sì un rapporto di causa ad effetto, ma — qui — su di un piano semplicemente ideologico. Si pensa cioè che certe idee abbiano agito, per così dire, da se stesse, senza che chi le ha generate o difese avesse una intenzione precisa o subisse l’influenza o la suggestione di forze agenti da dietro le quinte della storia visibile. In vari casi le cose possono essere anche andate così, il che vuol dire, che tali influenze si sottrassero alla coscienza stessa degli ideologi o dei pensatori in questione per appartenere ad un piano effettivamente sovrasensibile. In altri casi però la “scienza della sovversione” può indicare vari sintomi, facenti credere che le cose siano andate diversamente e che dietro alla maschera del pensatore e dell’ideologo si siano talvolta celati uomini, ai quali non era per nulla ignoto l’ultimo significato delle idee da essi diffuse così come la natura degli effetti che da esse dovevano indirettamente procedere. Si rafforza, allora, il sospetto, che pensatori di tale tipo non siano stati privi di relazioni con ambienti segreti facenti, per dir così, da fulcro all’azione storica di forze oscure.
Ciò sembra essere il caso di René Descartes, il massimo esponente del razionalismo moderno. È da tutti ammesso, che l’illuminismo e l’enciclopedismo, cioè gli elementi più importanti della ideologia massonico-rivoluzionaria del XVIII secolo, sarebbero difficilmente concepibili senza il cartesianesimo. Tuttavia i più ritengono che gli effetti sovvertitori del cartesianesimo siano stati involontari, per nulla voluti dal suo autore. Così si suppone che Descartes sia stato nulla più che un filosofo, non solo, ma non si dubita sulla sua ortodossia cattolica, che sarebbe provata dal suo ossequio per la Chiesa, dalle sue speculazioni teologiche, dalle sue famose prove dell’esistenza di Dio, ecc.
Una dozzina di anni fa uscì in Francia un’opera che da noi fu poco notata, ma che è invece abbastanza importante per i vari elementi in essa contenuti, intesi a far apparire la personalità e l’azione di Descartes sotto una luce insospettata. Né è privo di significato il fatto, che l’autore di questo libro — M. Leroy — fosse un alto personaggio delle logge, persona, dunque, dotata di sensibilità adatta per andare oltre le apparenze delle idee destinate ai profani.
Il Leroy chiama Descartes il “filosofo mascherato”. L’elemento sia cattolico, sia astrattamente filosofico, in lui sarebbe stato semplicemente di “copertura”. Egli sarebbe stato meno una figura di pensatore puro, che di un ribelle, col quale lo sviluppo di quella religione terrestre dell’uomo divinizzato, che aveva già preso inizio nella Rinascenza, doveva pervenire ad una fase decisiva, satura di germi di successivi sovvertimenti. Il Leroy mostra acutamente, come il Dio di Descartes abbia ben poco a che fare con quello della tradizione cattolica. Descartes “non tollerò Dio che alla condizione, che egli non intervenisse nel meccanismo del mondo”, sì che Pascal, nel riguardo, disse giustamente, che “avrebbe ben volentieri fatto a meno di Dio”. Nella dottrina cartesiana non vi sono tracce dei principi della umiltà cristiana, né della teoria del peccato originario, a ricordare all’uomo la sua decadenza e la necessità della sua redenzione. Al contrario.
Essa va a formulare “regole di una saggezza umana” nelle quali non figura più nulla di sovrannaturale. Descartes va fino al punto di sottomettere il Dio dei Cristiani ai principi del suo “metodo”. Ma egli va a meccanizzare la natura e a liberarla da ogni elemento trascendente solo perché l’uomo se ne possa costituire signore, “vincere il destino”, disputare agli Dei la loro felicità; l’espressione “maître et possesseur de la nature” compare appunto nel famoso Discours de la Methode. Dio, nella concezione cartesiana, diviene prigioniero delle leggi di un mondo, in cui la terra non è più che un semplice pianeta e in cui l’uomo, in un certo modo, si sostituisce a Dio, poiché in lui è “il libero arbitrio, la cosa più nobile in noi, che in qualche modo ci fa simili a Dio” e la ragione, da cui traggono principio tutte le scienze e che nelle sue evidenze sovrasta su ogni verità: “tutte le scienze – scriveva Descartes nelle sue Règles pour la direction de l’esprit – non sono che la sapienza umana, la quale resta sempre una e identica, pur applicandosi a vari oggetti, senza farsi da essi differenziare più che la luce del sole dalla varietà delle cose da esso illuminate”.
Nell’ordine delle evidenze, per Descartes, in fondo, viene dunque prima la ragione, cioè l’uomo, e poi Dio. La tradizione — diciamo così — luciferica o prometeica dell’Umanesimo è ripresa ed anzi potenziata dal cartesianesimo: già in esso l’uomo si pone come l’inventore delle scienze moderne, come colui che nelle evidenze razionali possiede il criterio di ogni verità e che, conoscendo le leggi del mondo, contro le quali la stessa divinità nulla può, si proclama appunto “signore e possessore della natura”. Questo è, secondo l’analisi penetrante e ben documentata del Leroy, il vero spirito del cartesianesimo, il resto è solo maschera e facciata.