DELLA MASSONERIA TESTIMONIALE
(parte 1)
di CRISTOFARO SOLA.
Estratto da “Scritti sulla massoneria volgare speculativa”.
di JULIUS EVOLA.
Edizioni Arŷa, Genova 2012.
È stato posto l’accento sul fatto che la critica evoliana, con il sostegno delle tesi del Guénon, sia stata concentrata sulla cosiddetta Massoneria speculativa, cioè sull’istituzione che si rappresentava al mondo di cui Evola medesimo è stato protagonista, con la luce delle sue idee e, nondimeno, con l’oscurità di alcune sue errate valutazioni. In realtà, la Libera Muratoria – poggiando la propria forza sulla gambe degli uomini che l’hanno popolata ‒ ha conservato (e conserva) una sua dinamica nell’adattarsi non soltanto a contesti geografici, ma anche ai tempi storici nei quali è chiamata a operare. Da ciò ne consegue una elementare verità : la odierna organizzazione massonica non è uguale, nei suoi contenuti e nelle sue linee guida, a quella dei primordi operativi, come non lo è rispetto agli scopi che, nel Settecento e Ottocento, la Confraternita si è data. Nel tempo si è verificata ancorché non esplicitamente dichiarata, una mutazione dei fini, tale che la forma odierna è cosa altra rispetto alle precedenti due organizzazioni. Naturalmente, anche in questo caso, come prima per la Massoneria speculativa, si è trattato di un processo di trasformazione graduale, sedimentato negli anni e che si è realizzato in modo diverso negli svariati contesti nazionali e continentali. È un fatto, ad esempio, che la Massoneria nord-americana abbia delle specificità che la rendono differente da quella sud-americana, come da quella europea e asiatica. Analizzare le ragioni di queste differenziazioni nei processi di trasformazione delle comunioni massoniche sparse per il mondo appartiene a un differente contesto analitico. Per questo motivo, restando sul filo del ragionamento condotto dalla critica evoliana, che aveva davanti soprattutto l’evolversi o, più rettamente, l’involversi del modello massonico domestico, l’elemento comparativo che si assume, per svolgere in questa sede una riflessione, sarà appunto la storia della Massoneria italiana, dal momento in cui il Nostro ha cessato di osservarla, cioè dagli anni settanta dello scorso secolo.
Alla Massoneria speculativa è stato riconosciuto quel carattere di fautrice del “nuovo” che ha avuto, dal settecento in poi, innumerevoli occasioni per rivelarsi. Oggi, anche la storiografia più ostile all’organizzazione libero muratoria, non le nega il ruolo di avamposto dei movimenti che hanno agito sul terreno politico, per riformare radicalmente la struttura degli Stati italiani prima, e dello Stato unitario dopo, nel senso di contribuire a indurre ‒ sebbene a livello embrionale ‒ quegli elementi di democrazia, di giustizia sociale, di libertà economica, che hanno ridisegnato il paese secondo il paradigma dello Stato borghese, emissario della società civile che lo legittima. Anche durante la parentesi del “ventennio”, il regime fascista, che rivendicò il merito di combattere duramente la Massoneria, a ben vedere, e soprattutto ascoltando le parole di avveduti studiosi della materia, ebbe, almeno nella sua fase movimentista, non poche assonanze con la Libera Massoneria.
Durante il secondo conflitto mondiale, vi sono tracce del ruolo svolto dalla Massoneria, ancorché secondario, perché le sorti della guerra in Italia avessero miglior esito per le forze alleate, sebbene sia prevalente la tesi secondo cui sarebbe stata l’avanzata sul suolo italiano delle armi anglo-americane a favorire la “resurrezione massonica”, e non viceversa. Certo, non si può affermare che la Massoneria di quegli anni abbia contribuito a creare “l’ambiente favorevole” affinché le forze democratiche prendessero il sopravvento, rispetto alla declinante condizione in cui si era ridotto il regime fascista già dal momento della dichiarazione di entrata in guerra dell’Italia. Non vi era stata, per la “liberazione”, quella messa in gioco dell’organizzazione, che invece vi fu nelle vicende risorgimentali. E nella preparazione del processo di unificazione dell’Italia. Tale elemento è di assoluta importanza, per comprendere cosa poi sia accaduto all’Istituzione massonica nei decenni successivi e come si sia giunti alla mutazione ulteriore della sua “ mission”. In proposito, si dovrebbe indagare sulle autentiche motivazioni che spingevano un numero significativo di persone a trovare, all’improvviso, prima ancora che si spegnessero i fuochi della guerra, la forza interiore per desiderare di varcare la soglia del tempio massonico.
Tuttavia, dall’immediato dopoguerra comincia a profilarsi quel modello di Massoneria che si renderà più evidente nei tempi successivi. In particolare, l’organizzazione massonica, dopo aver rivendicato la presenza di alcuni suoi membri all’interno dell’Assemblea Costituente, gradatamente si sottrae, nelle dinamiche di interazione tra le forze politiche, sociali, economiche, culturali e religiose in campo, alla partecipazione in posizione dominante nel dibattito sul futuro della società italiana, che si avvia alla ricostruzione dopo la devastazione della guerra, per assumere una collocazione di contesto assolutamente marginale. Non però per curvare in direzione di una ripresa del lavoro iniziatico, nel segno del ritorno ai principi e ai dettati della Tradizione. Le linee d’azione sulle quali si sviluppa la nuova fase possono essere indicate in tre differenti direttrici di marcia.
Etica del sé nella proiezione della Massoneria Testimoniale
La prima direttrice di marcia riguarda una ripresa dell’argomento etico che, sfumato nei suoi contorni di progetto per l’intera umanità (un tempo bandiera della Massoneria speculativa), si precisa come lavoro per il perfezionamento del singolo adepto, sebbene la Questione Morale dell’Uomo/Umanità, in quanto oggetto osservato e narrato, costituisca ancora l’esercizio retorico più praticato dalla cospicua pubblicistica massonica. La pratica dell’espediente retorico, divenuto costume presso la Massoneria testimoniale. Ha prodotto rilevanti effetti. In particolare, si è sviluppata la tendenza a rielaborare il passato in funzione dell’obiettivo etico perseguito, anche in danno, se necessario, della verità.
Ciò è stato reso agevole dal fatto che, come spiega D. Del Bino, non riconoscendo questa Massoneria l’esistenza di una dottrina della verità, “essa non la propone: la verità non si insegna, si vive e quindi va ricercata in noi stessi, vivendo ciascuno la propria vita intento al proprio perfezionamento personale”.
Anche la verità storica non sfugge a questo meccanismo di “soggettivazione della memoria”, spinto fino al punto di negare all’analisi del passato il diritto alla complessità della ricostruzione delle dinamiche agenti nei processi di allineamento di eventi e biografie. Dunque, il massone, nella nuova prospettiva, si pone un fine culturale che è declinabile come ricerca di sé stesso, “come continuo autotrascendimento e perfezione di sé, che tocca il vertice dell’immanenza nella dimensione morale che è regolata dal principio trascendente del Grande Architetto dell’Universo”. Al conseguimento di questo scopo, l’istituzione massonica, con il suo apparato concettuale/simbolico, si offre come metodo di lavoro. Essa, ripescando temi dell’utopismo massonico tedesco della fine del XVIII secolo, costruisce, sui principi consolidati, un impianto di idealità al quale il singolo adepto ha libero accesso allorquando, svincolato da ogni obbligo operativo, desideri rafforzare la potenza retorica delle sue argomentazioni. Anche la proiezione del massone verso il futuro è traducibile come volontà individuale di esplorare le sue stesse ancora impensate possibilità. Il passato, invece, è catena di cui liberarsi, coscienza ancestrale di senso d’angoscia, per la sua inevitabile corsa verso l’estinzione. E la solitudine, un tempo condizione di grazia dell’iniziato, luogo nel quale si propizia la comunicazione col trascendente e dove lo Spirito detta le sue regole, diviene il deserto da cui fuggire, svuotamento dell’interiorità, perdita cognitiva del sacro.
Contro questa pretesa condizione di minorità di individuo, l’antidoto che riforma l’equazione tradizionale umano/superumano è fornito dalle interazioni attivate all’interno di un sistema di relazioni ramificate, che la Massoneria indica come via d’uscita all’altra più spinosa equazione, quella individuo/umanità. Anche il Simbolo, pilastro portante della dottrina esoterica, viene riconfigurato, una volta privato della sua natura di codice del trascendente, come “prodotto” della psiche umana, della mente che elabora, della “memoria generazionale”, sequenza di immagini collettive raccolte e sedimentate “lungo il tortuoso processo di sviluppo dell’Umanità. Il segreto iniziatico è, nell’odierna costruzione, depotenziato del suo contenuto soprannaturale, per essere riconvertito a mera modalità di realizzazione di principi etici, che sono altrove definiti. Talvolta, esso viene utilizzato come “cane da guardia”, per vigilare affinché spinte volontaristiche troppo zelanti possano tracimare dal rigido ambito della declamazione dei valori-guida, trascinando il massone lungo gli scivolosi piani inclinati della “consequenzialità necessaria”, nel regno incontrastato delle “buone prassi”. L’aspetto saliente della Massoneria testimoniale è che il pensiero può essere rappresentato dall’astrazione dei paradigmi etici: non viene richiesto ad alcuno, se non per spunto retorico, un agire conseguente, è sufficiente un onesto “sentire”. Anzi la prassi viene posta in antitesi alla forza didascalica delle parole. Evidente è la differenza sia con la Massoneria speculativa – che, in altri contesti storici, aveva messo gli adepti di fronte al dovere morale di sostenere i propri ideali, giusti o sbagliati che fossero, verificandoli nella realtà, a prezzo di altissimi rischi personali – sia con la Massoneria Operativa, dove la costruzione del tempio era di per sé manifestazione del reale. Dati i presupposti, l’opera di trasmutazione, non priva di ambizione, a cui aspira il nuovo paradigma massonico, si concreta nel tentativo di ricostruire “dal basso” il mondo degli archetipi fondamentali, per cui, riformulando la proposizione ermetica, si ricava che “ciò che è vero in basso, in quanto reale, prodotto dell’incrocio mente/coscienza, deve esser vero in alto, e comunque lo sarà”.