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ALLA RICERCA DEL LINGUAGGIO PRIMITIVO OVVERO PER LA RESTITUZIONE DELL' ARITMETICA PITAGORICA

di CRISTIAN SCIMITERNA e STEFANO LORETONI.

Estratto da “Arthos”.
N° 20 del 2012.
Edizioni Arŷa, Genova. 

Dei numeri pitagorici dunque: ma cosa sono i numeri pitagorici? Anzi, cosa sono i numeri e cosa è l’aritmetica? È Reghini stesso a dircelo: “La scienza dei numeri prescinde da ogni altra condizione, da ogni forma di antropocentrismo e di geocentrismo, da ogni tipo di vita e di universo, fisico ed iperfisico, prescinde da ogni intuizione del tempo e dello spazio (… ). Essa è intrinsecamente universale: vale per gli uomini e per gli Dei: può essere studiata nel natio borgo selvaggio e può essere insegnata nella città del Sole. Questa scienza, ossia il complesso delle proprietà dei numeri, può essere appresa e posseduta da tutti quegli esseri, umani o no, che siano dotati di congrue facoltà intellettive, come ad esempio il raziocinio, oppure l’intuizione oppure altri sensi speciali e trascendenti. L’aritmetica non è né intuitiva né razionale, essa è semplicemente aritmetica. Ma, si capisce, non è ammissibile che il risultato raggiunto con l’intuizione sia in contrasto con il risultato raggiunto con la logica: se questo accadesse vorrebbe dire che si è commesso un errore: se tra i due risultati vi è differenza senza esservi opposizione vuol dire che uno almeno dei risultati è parziale”.
 

Abbiamo quindi una concezione antica, oggettivistica, platonica dell’aritmetica. Una concezione intensamente occidentale. Le verità aritmetiche sono delle idee, delle realtà non fisiche ma non per questo meno reali, oggettivamente esistenti in un mondo elevato, iperuranio, a cui è possibile attingere in vari modi: il modo privilegiato è tramite l’uso catartico della logica e dell’intelletto astratto raziocinante, ma non è l’unico. Quest’ultimo punto è estremamente interessante e lo ritroveremo oltre; esso infatti rimanda al possibile uso di tecniche meditative finalizzato tra l’altro a propiziare la rivelazione e la comprensione, sul piano intuitivo, di determinate verità matematiche. Scriveva ancora Reghini: “L’aritmetica ha bisogno soltanto della nozione dell’ordine nella successione dei numeri naturali. Questa successione è essenzialmente discontinua, discreta, ed intrinsecamente ordinata. Si passa da un elemento al consecutivo mediante l’aggiunta di un quantum che è l’unità.
Le altre tre scienze del quadrivio pitagorico: la geometria. la musica e la sferica (od astronomia sferica) hanno bisogno di una intuizione del tempo e dello spazio con le relative determinazioni del punto geometrico, dell’attimo e dell’atomo materiale. L’arduo problema della continuità e della discontinuità che è inerente a queste determinazioni non tocca l’aritmetica e si affaccia storicamente in geometria nella scoperta (pitagorica) della incommensurabilità della diagonale e del lato del quadrato.
Quanto alle altre scienze del trivio: la grammatica, la logica o dialettica e la retorica esse sono nettamente inferiori all’aritmetica e alle altre scienze del quadrivio perché sono scienze umane o quasi: esse si riferiscono alle facoltà intellettuali umane, al pensiero e al linguaggio indicati entrambi dalla parola Logos. Premesse queste scienze umane, la prima del quadrivio è l’aritmetica, la sola che basta a sé stessa”.

 

L’aritmetica quindi non è un linguaggio umano, ma un linguaggio universale e primigenio che basta a se stesso. In coerenza con ciò Reghini affermava inoltre che (Prologo):“L’alfabeto greco deriva da quello fenicio ed è indubbio che, nel trasportare l’alfabeto, i greci mantennero l’ordine in cui si susseguivano le 22 lettere dell’alfabeto fenicio, dall’aleph che divenne l’alfa al tau”.
 

E poi specificava: “Non è noto quando come e perché venne fissato questo ordine. Esso non è un ordine naturale come credono quelli che armeggiano con la cabala e con le lettere dell’alfabeto, mentre invece esiste la serie naturale dei numeri interi o numeri naturali. Basta questo a far capire l’abisso che separa l’esoterismo pitagorico occidentale dalla cabala ebraica. Mentre l’ordine dei numeri naturali è eternamente e necessariamente quello che è, l’ordine delle lettere dell’alfabeto ebraico è contingente, umano arbitrario ed ebraico: e la identificazione e corrispondenza dei due ordini ed il valore numerico assegnato alle lettere dell’alfabeto convenzionale, incerto, variabile ed arbitrario”.
 

Ovviamente questo vale per ogni lingua, non solo per quella ebraica; infatti sempre nel Prologo scrive: “L’adozione del sistema alfabetico di numerazione permise ad alcuni pitagorici posteriori di servirsene per la divinazione onomantica mediante i calcoli isopsefici. Da questa applicazione abbastanza innocua i calcoli isopsefici passarono poi ad un’applicazione alquanto pericolosa, quando, unitamente ai concetti dell’aritmologia pitagorica, vennero in seguito adoperati dagli ebrei e dai cristiani, segnatamente da Filone e da Aristobulo ai fini dell’apologetica religiosa. (…) Dalla lingua greca, adattandosi con arbitrarie varianti ai vari alfabeti, questi calcoli isopsefici sono passati al latino, all’ebraico, alle lingue moderne, sia per la divinazione onomantica, sia per l’apologetica religiosa, sia addirittura per scoprire verità. (…) questo sistema di divinazione [ha un] valore (… ) necessariamente nullo sotto tutti gli aspetti (… ). Dalla onomanzia pitagorica derivano i procedimenti cabalistici della gematria e del notaricon (…) e non viceversa. (… ) mentre invece la Scuola Pitagorica o Scuola Italica, occidentale per davvero, non aveva testi sacri e rivelati da cui ricavare con calcoli artificiosi ed interpretazioni balzane la verità; eppure le verità che essa ha trovato sono le sole che tutta l’umanità riconosce anche oggi. La cosa è talmente manifesta che è superfluo addurre esempi”.
 

Ed in effetti la scienza moderna occidentale, come rilevato anche da Evola, pur nella sua limitatezza di orizzonti, volutamente ristretti al mondo della materia, presenta un indiscutibile carattere di grandezza avendo in proprio un senso del metodo, del limite, della definizione, del pragmatismo e dell’uso del linguaggio matematico che tanto caratterizzano la mentalità occidentale, antica e moderna. Piaccia o no, tale scienza ha una sua precisa potenza che ha permesso ha chi ne ha fatto uso pratico (buono o cattivo che sia non è questo il punto) di modificare in tempi rapidi la faccia del pianeta. L’aritmetica pitagorica quindi non è originariamente collegata ad una particolare lingua umana, ma alla lingua del Cosmo e alle figure che esso esprime; i numeri pitagorici sono infatti numeri figurati: precisa infatti Reghini (Prologo): “un’aritmetica teorica non poteva costituirsi che sopra un altro simbolismo; a questo ha provveduto il simbolismo aritmo-geometrico dei pitagorici, l’uso cioè della figurazione dei numeri, simbolismo che è indipendente da ogni sistema di numerazione parlata o scritta”.
 

Infatti: “Occorrono due elementi per determinare un numero pitagorico: la sua forma ed il suo valore numerico; oppure la sua forma ed il numero d’ordine che esso occupa tra i numeri di quella forma a partire dall’unità, che è sempre il primo numero”.

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